Licenziato per colpa di ChatGPT? | proposta di tassa sulle aziende che sostituiscono umani con robot: quanto siamo vicini
Chatgpt @pexels, fsi.it
Il dibattito sulla “tassa sull’automazione” torna al centro dell’agenda politica: l’idea è far pagare alle imprese un contributo quando sostituiscono lavoratori umani con intelligenze artificiali o robot.
L’avanzata dell’automazione e dell’intelligenza artificiale sta cambiando in profondità il mercato del lavoro. In pochi anni, software, algoritmi e sistemi robotici hanno assunto un ruolo sempre più centrale nei processi produttivi, sostituendo mansioni ripetitive e impieghi amministrativi. Tuttavia, il rovescio della medaglia è evidente: migliaia di posti di lavoro rischiano di scomparire, mentre le imprese risparmiano su costi contributivi e previdenziali. Da qui nasce l’idea del cosiddetto “Contributo Automazione”, una tassa pensata per compensare gli effetti sociali della sostituzione tecnologica.
Il concetto, già discusso a livello internazionale, è stato rilanciato in Italia da economisti e politici che chiedono una regolamentazione fiscale per le aziende che riducono il personale a favore di macchine o software intelligenti. L’obiettivo non è frenare l’innovazione, ma garantire una redistribuzione equa dei benefici economici generati dall’automazione, finanziando formazione, ricollocamento e nuove politiche attive per l’occupazione.
Come funzionerebbe la tassa sull’automazione
Il principio è semplice: le imprese che sostituiscono un lavoratore con una macchina dovrebbero versare un contributo proporzionato ai risparmi ottenuti in termini di salari e contributi sociali. In questo modo, si creerebbe un fondo destinato a finanziare la riqualificazione professionale e il sostegno ai disoccupati tecnologici. Il modello prende spunto dalle proposte avanzate già da Bill Gates e dal Parlamento Europeo, che ha discusso una misura simile nel 2017 senza però arrivare a un’applicazione concreta.
In Italia, la discussione si è riaccesa con la diffusione di piattaforme di intelligenza artificiale generativa, come ChatGPT, sempre più utilizzate anche in contesti professionali. Le organizzazioni sindacali chiedono che le aziende che riducono il personale in seguito all’introduzione di automazioni digitali contribuiscano a un fondo pubblico per la formazione e il reinserimento dei lavoratori. Al momento, il Ministero del Lavoro studia diverse ipotesi, ma nessuna proposta normativa è ancora approdata in Parlamento.

Un equilibrio tra progresso tecnologico e giustizia sociale
I sostenitori della tassa sostengono che, senza un correttivo fiscale, il rischio è di accentuare le disuguaglianze e creare un mercato del lavoro polarizzato, dominato da pochi tecnici altamente qualificati e da un esercito di esclusi. Gli oppositori, invece, temono che l’introduzione di un tributo aggiuntivo possa frenare la competitività e scoraggiare gli investimenti in innovazione. Il punto di equilibrio, secondo molti economisti, è trovare un sistema di compensazione flessibile, che non penalizzi il progresso ma ne condivida i vantaggi con la collettività.
Nel frattempo, l’automazione continua la sua corsa, dalle fabbriche all’amministrazione pubblica, dai call center alle professioni creative. Se e quando arriverà una tassa sull’uso delle intelligenze artificiali dipenderà dalla capacità del legislatore di aggiornare il diritto del lavoro a un mondo in cui la linea tra uomo e macchina è sempre più sottile. Per ora, la proposta resta sul tavolo, ma il messaggio è chiaro: l’innovazione non può essere davvero sostenibile se lascia indietro chi lavora.
