“Il mio lavoro è venerare mio marito, procreare e cucinare”: è boom delle Tradwife, le donne vogliono tornare agli anni ’50 I “Mistificano per obbligarle alla sottomissione”
donna cucina - pexels- fsi.it
“Il mio lavoro è venerare mio marito, procreare e cucinare”: è boom delle Tradwife, dagli Usa a noi, le donne vogliono tornare agli anni ’50. E le Femministe insorgono: “Mistificano per obbligarle alla sottomissione”
Negli ultimi tempi, sui social e nei dibattiti pubblici, è emersa una parola che sta facendo discutere e dividendo l’opinione pubblica: “tradwife”. Ma che cosa vuol dire?
Abbreviazione di traditional wife, ovvero “moglie tradizionale”. Si tratta di una tendenza nata negli Stati Uniti ma ormai diffusa anche in Europa e in Italia.
Che cosa starebbe a significare? Il concetto ruota attorno a un tema preciso: il ritorno al ruolo femminile tradizionale, quello della donna di un tempo.
In sintesi, la donna dedita alla casa, alla famiglia e al marito, lontana dal mondo del lavoro e dalle dinamiche di emancipazione moderna.
Tradwife: donna, ora le ‘mode’ ti vogliono così
Le “tradwives” si mostrano sui social come orgogliose custodi della femminilità d’altri tempi: cucinano, curano i figli, mantengono la casa impeccabile e si prendono cura del marito come fosse la loro principale missione di vita. Indossano spesso abiti vintage, grembiuli eleganti e promuovono valori che richiamano gli anni ’50, quando il modello familiare patriarcale era la norma.
Per alcune di loro, questa è una libera scelta di vita, una forma di rivendicazione contro la pressione della carriera, dello stress e dell’individualismo moderno. In fondo, sostengono, essere una casalinga felice e realizzata è altrettanto legittimo quanto essere una donna in carriera. Ma, inevitabilmente, la tendenza ha acceso forti polemiche.

Polemiche ovunque: emancipazione e tradizione, l’eterno conflitto
Molti osservatori e movimenti femministi vedono nel fenomeno un pericoloso passo indietro rispetto alle conquiste ottenute in decenni di battaglie per i diritti delle donne. Secondo loro, il rischio è quello di romanticizzare un modello di sottomissione, mascherandolo da libertà di scelta.
Il problema, infatti, non è tanto il desiderio individuale di una donna di dedicarsi alla famiglia, quanto la narrazione idealizzata e patinata che ne deriva, che può contribuire a normalizzare ruoli di genere rigidi e diseguali. C’è poi un altro aspetto da considerare: il contesto sociale ed economico attuale. Poter essere una “tradwife” presuppone una certa stabilità finanziaria, un reddito familiare sufficiente a vivere con un solo stipendio — un lusso che pochi possono permettersi oggi. Questo fa sì che la tendenza resti, in molti casi, un fenomeno di nicchia, più mediatico che reale. E qualunque sia la ragione, però, guai a trasformare un’ideale, o quel che è, in uno strumento di sottomissione: dichiarare, come alcune fanno, che la propria professione è ‘venerare mio marito‘ e limitarsi a procreare e cucinare non significa abbracciare una cultura tradizionale di cui si intendono preservare i principi, ma incentivare una cancellazione del diritto di emancipazione e di parità che deve prescindere da tutto.
