Perchè il “Duplo” si chiama così se ha 3 palline al suo interno? | Svelato il segreto che dura da 50 anni

Perchè il “Duplo” si chiama così se ha 3 palline al suo interno? | Svelato il segreto che dura da 50 anni

Duplo @wikicommons, fsi.it

Per mezzo secolo abbiamo mangiato il Duplo convinti che fosse “triplo”, ma dietro quel nome c’è una storia di marketing molto più furba dei semplici numeri.

Chiunque abbia scartato almeno una volta un Duplo si è fatto la stessa domanda: perché si chiama “Duplo” se sopra la barretta ci sono chiaramente tre “palline” di cioccolato? L’osservazione è talmente spontanea che è diventata materiale perfetto per video virali, meme e curiosità da condividere con gli amici, alimentando l’idea che ci sia qualcosa di “sbagliato” nel nome.

Eppure la risposta non sta nel conteggio delle nocciole o delle cupolette di cioccolato, ma in una scelta di comunicazione fatta decenni fa e mai più abbandonata. Il nome non è nato per descrivere quanti elementi compongono la barretta, ma per evocare un’idea di “doppio piacere”, una promessa semplice e fortissima che ha accompagnato il prodotto fin dal suo debutto sugli scaffali.

Quando “Duplo” non c’entrava nulla con le tre nocciole

Per capire il perché del nome bisogna fare un passo indietro agli anni Sessanta, quando la barretta Ferrero che oggi conosciamo era diversa da come la vediamo ora. In origine il concetto era quello di un cioccolato che univa due elementi chiave, latte e cacao, in un’unica tavoletta pensata per essere più ricca e appagante. L’idea di “doppio” non era matematica, era emotiva: doppia golosità, doppia soddisfazione, qualcosa che ti desse la sensazione di avere “di più” rispetto a una semplice tavoletta.

Con il tempo il prodotto è cambiato: la ricetta si è evoluta, è arrivata la classica forma a tre cupolette, la cialda di wafer croccante ha preso il posto della tavoletta liscia e le nocciole intere sono diventate le vere protagoniste. Ma il nome è rimasto lo stesso, perché ormai il marchio “Duplo” era entrato nell’immaginario collettivo. In comunicazione, rinunciare a un nome così riconoscibile sarebbe stato un azzardo enorme, molto più rischioso del lasciare che qualcuno continuasse a chiedersi perché “Duplo” sembri un po’ “triplo”.

Duplo @wikicommons, fsi.it

Perché il nome funziona ancora, nonostante (o grazie a) il “triplo”

La cosa più curiosa è che proprio questa apparente incoerenza ha contribuito a rendere il Duplo ancora più memorabile. Il cervello si aggancia a ciò che non torna del tutto, e la domanda “perché si chiama così se ha tre palline?” è diventata una sorta di gancio mentale che tiene vivo il prodotto nella conversazione. In pratica, quel “Duplo” che non coincide con le tre nocciole è diventato uno strumento involontario di storytelling continuo, che si riaccende ogni volta che qualcuno solleva il dubbio.

Dal punto di vista del marketing, il nome non ha bisogno di essere un’etichetta perfettamente razionale per funzionare: deve essere breve, riconoscibile, facile da ricordare e capace di evocare un’emozione. “Duplo” continua a fare esattamente questo da cinquant’anni, mentre le tre nocciole in fila si occupano del resto, ovvero creare quel colpo d’occhio iconico che riconosci a distanza. Il risultato è una combinazione in cui nome e forma non coincidono alla lettera, ma lavorano insieme per costruire un’immagine di piacere esagerato, che va ben oltre la semplice logica dei numeri.